I Vizi Capitali: Gola, il sapore degli ingordi

Nella cultura medievale lo si codificava come gravemente immorale, sembra un vizio anacronistico ma ha senso parlarne oggi come qualcosa di peccaminoso?

La gola sembra un vizio anacronistico. Ha senso parlarne oggi come qualcosa di peccaminoso? Nell’immaginario collettivo evoca pantagrueliche crapule medievali, smodati bagordi aristocratici all’ombra di possenti mura, mentre fuori il volgo si trascina famelico, fetido e straccione, ingurgitando putrescenti avanzi e tozzi di pane secco, nel migliore dei casi. E in realtà, nella cultura medievale che lo codificava come gravemente immorale, la componente di sperequazione sociale che la gola esprime rappresentava un elemento determinante: la giustapposizione di smodatezza e lascivia dei pochi alla faccia della disperata povertà dei molti strideva e invocava condanne, anatemi, inferi.

C’è poi una componente più prettamente teologica. Ma questa è essenzialmente invariante o sfumatamente variante nei vari peccati “corporali”: si tratta della dimensione ossessiva di dipendenza. È, se vogliamo, il cuore immateriale dei peccati materiali: il chiodo fisso conficcato al centro dei pensieri, la morbosità seriale, l’inseguimento della voluttà che depriva la persona di controllo, di equilibrio, di “ordine”, e la allontana da Dio (e dalla chiesa). Da questo punto di vista un oggetto di desiderio incontrollabile vale l’altro. E il discorso non è dissimile nella tradizione laica di elogio della misura e della sobrietà e di speculare riprovazione dell’eccesso. Non fa molta differenza che si tratti di sesso o di cibo o di denaro o di gioco d’azzardo o di Tik Tok: ciò che è “peccaminoso” (sul versante teologico) o destabilizzante e riprovevole (sul versante civico) è l’ossessione in sé.


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