Rinaldo chi?

Rinaldo chi?

Il documento d’identità intestato al signor Rinaldo Danese gli serviva giusto per essere riconosciuto all’anagrafe e alla frontiera. Per tutti gli altri, dirigenti, giocatori, tifosi, direttori di gara e amici lui è stato universalmente riconosciuto come il “Macola” e sempre lo sarà.
Se n’è andato un uomo con il Chievo letteralmente e autenticamente cucito addosso. La squadra gialloblù e l’arte della sartoria erano le passioni della sua vita.

Calcio e abbigliamento si sono incrociati anche nella nascita del suo soprannome. Il Macola proveniva da due generazioni di sarti. In gioventù si divideva tra il pallone e il lavoro. Giocava a livello dilettantistico con il Quinto e un giorno, a causa di una partita disputata interamente sotto il nubifragio, si prese la polmonite. All’epoca non si guariva in fretta come oggi, così per un po’ dovette rinunciare a giocare a calcio ma soprattutto gli saltò la possibilità di trasferirsi a Torino per frequentare la scuola di taglio alla quale si era iscritto. In quel tempo lavorava da “Falconi” dalle parti di Castelvecchio. Una volta guarito – mi raccontò, nel corso di una intervista – era davvero giù di morale e suo padre, che realizzava vestiti per il conte Everardo Macola, lo volle spronare facendolo assumere proprio dal conte, che aveva un grande magazzino dalle parti di Piazzetta San Nicolò. Il conte non aveva figli e lo prese subito in simpatia. Lo consigliava, lo indirizzava, insomma era diventato per lui come una specie di secondo padre. Tanto premuroso che tutti hanno iniziato a chiamare il giovane Rinaldo con il cognome del nobile.

Così è nato il Macola, uomo simpatico, ironico, instancabile, affidabile e soprattutto dalla naturale eleganza. Sempre impeccabile in giacca e cravatta. Lo abbiamo visto centinaia di volte, in giro per Verona ma anche soprattutto allo stadio, in casa e in trasferta, nei panni di accompagnatore addetto al direttore di gara per migliaia di partite del ChievoVerona. Quel ruolo ha iniziato a ricoprirlo nel 1965, diventando anche lui a suo modo protagonista dell’ascesa del club dalla Seconda Categoria fino alla serie A. Il Macola ha vissuto tutta la scalata e i venti anni di serie A, ha vissuto a fianco a fianco con Cesare Garonzi, Gigi e Luca Campedelli, Giovanni Sartori e tutti i dirigenti, allenatori e giocatori che hanno creato il Chievo e realizzato il sogno della loro vita.

Lo abbiamo incrociato in decine e decine di ritiri prepartita, seduto al tavolo a sfidare qualcuno a carte. Su tutte, di lui ricordo una frase che mi disse una volta, una decina d’anni fa in qualche albergo in Italia in attesa di andare allo stadio. Si parlava di eleganza ma anche di senso della vita. “Meglio far invidia che compassione”. Buon viaggio Macola.

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