Non sappiamo più cosa accade dentro di noi, e le nostre azioni si compiono senza di noi.
Poi ci saranno le perizie psichiatriche che parleranno di depressione, di raptus improvviso, e accrediteranno questa tesi con tutte quelle parole vane che stanno al posto di due sole parole: isolamento della famiglia e assoluta latitanza del sociale. E, in effetti, se i valori che oggi circolano non sono più solidarietà, relazione, comunicazione, aiuto reciproco, ma business, immagine, tranquillità, tutela della privacy, c’è da chiedersi perché questi terribili fatti non devono accadere. […]
Se l’uomo è un animale sociale, quando gli si toglie la società, quella vera, sostituita con quella televisiva e poi con quella virtuale, perché un animale del genere non può impazzire? Non è invece la cosa più probabile? In queste condizioni, è molto facile “passare all’atto”, come dicono gli psicoanalisti, cioè “sopprimere” il problema. Un male comune, dunque, che talvolta può arrivare all’eccesso. Ma proprio perché è comune, proprio perché coinvolge tutti noi, non evitiamo di guardarlo e di rifugiarci nella comoda diagnosi di “raptus” o “depressione”, da cui naturalmente ci sentiamo immuni.
Umberto Galimberti, I miti del nostro tempo
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