«La nostra società non è una macchina da riparare, ma un organismo che ha bisogno di rigenerarsi». Per superare le conseguenze sociali, economiche e culturali della pandemia, spiega Mauro Magatti «dobbiamo costruire un ponte e incamminarci sull’altra riva»
Una cultura, insegnava Jurij Lotman, «sopravvive solo grazie a una mite intransigenza». Non opporsi alla realtà, ma al tempo stesso non cedere alle troppe insidie che quella realtà nasconde: mai come in tempi di crisi, suggeriva il semiologo estone, è necessario togliersi le lenti dei moralisti e guardare il mondo per come ci viene incontro.
Tra le tante insidie di una pandemia che si sta trasformando in fenomeno endemico, spiega Mauro Magatti che ha da poco pubblicato Nella fine è l’inizio. Il mondo in cui vivremo (pagine 180, euro 15, Il mulino, 2020), un lavoro scritto a quattro mani con Chiara Giaccardi, la più rischiosa è «pensare che la nostra società sia una macchina da riparare, non un organismo che ha bisogno di rigenerarsi».
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